Intervista in occasione della mostra
Vittorio Emiliani
Da quale esperienza formativa, e anche famigliare, viene ognuno di voi, come avete cominciato
individualmente, quali maestri, quali modelli avevate
Sono nato nel 1962 a Napoli e sono cresciuto a Roma, dove ho vissuto fino alla fine dell’Accademia; da
ragazzo per consonanza famigliare mi sono iscritto alla facoltà di Architettura di Valle Giulia, una università
ancora artigianale dove si disegnava molto, alcuni corsi si svolgevano nelle chiese del centro storico di Roma
e a me piaceva moltissimo disegnare su grandi fogli, dal vero, cercare i volumi, i rapporti tra le dimensioni.
Come disegnatore mi sono formato in quel periodo, nelle chiese e nei palazzi di Roma, con carbone e gesso
bianco sulla carta da spolvero. In seguito trasferirmi all’Accademia di via Ripetta fu una conseguenza naturale,
insieme ad altri artisti avevo preso in affitto uno studio vicino alla stazione Termini, era un periodo molto
bello, ci si incontrava e si lavorava molto. Per qualche anno ho lavorato come assistente prima nello studio di
Bruno Ceccobelli a S.Lorenzo e poi nello studio di Fabio Mauri, che è stata la mia vera università, l’incontro
che mi ha più coinvolto. Nel 92 ho lasciato Roma per New York dove sono rimasto per un paio di anni, da
allora mi sento sempre in viaggio, ho sempre sentito il luogo concreto come parte essenziale del processo
creativo, mettersi alla prova in luoghi diversi è sempre stato un desiderio misto a necessità, porto spesso con
me dei grandi quaderni su cui lavoro finché non diventano delle vere opere in forma di libro, una sorta di
“architettura” interamente affrescata risultato di una esperienza in un luogo specifico. Ora ho un nuovo studio
a Roma per lavorare su altre dimensioni e sulle sculture.
Quando vi siete conosciuti e quando e come è iniziata questa vostra esperienza di lavoro,
diciamo, convergente
Più o meno direi che ci siamo tutti conosciuti verso la fine degli anni 80, quando facevamo le prime mostre;
era molto diverso da oggi, un periodo di apertura dopo anni bui, si stava molto in giro, era facile incontrarsi,
nelle gallerie, nei musei, nelle librerie, nelle trattorie del centro, c’era curiosità, c’erano artisti, scrittori,
musicisti, ci si cercava, ci si formava alla vecchia maniera, confrontandosi senza pietà; a ripensarci oggi
sembra impossibile, è come se un’ondata abbia travolto tutto allontanandoci, non solo tra artisti, a un certo
punto è come sparita la necessità di condividere e quindi inventare e curare uno spazio comune, per lungo
tempo è come se ognuno abbia fatto di se stesso un’isola, autosufficiente, autoreferenziale, ognuno un caso a
sé; ci siamo persi di vista, abbiamo preso strade diverse, ma il miracolo è che messi non troppo casualmente
di nuovo vicino, i lavori continuano a parlare una lingua comune, a venti anni di distanza si vede anche
meglio il terreno da dove provengono, si vede chiaramente il riferimento alla tradizione plastica propria
dell’arte, l’ossessione di darle l’ennesima nuova versione; quella che una volta era una scelta naturale, da figli
della eterna bottega dell’arte, oggi è diventato un segno distintivo, una scelta da rinnovare ogni giorno, la
volontà di un gruppo di artisti adulti che condividono una visione etica della vita, una posizione anche
politica, di opposizione all’idea di omogenizzazione globale che ci sovrasta.
Da quanti anni va avanti e con quali modalità di rapporto, di scambio, di interazione, anche con altri ambienti
romani
In realtà sono state le opere a farci rincontrare; un paio di anni fa ho visto un lavoro di Maurizio e l’ho
semplicemente chiamato per dirgli quanto mi era piaciuto e quanto mi identificavo col suo modo di lavorare;
da allora ci siamo visti tante altre volte, negli studi principalmente, è stata una lenta scoperta, via via ho
rivisto Alfredo, Vincenzo, Laura, Claudio, una miniera di lavoro che condivido in pieno, una frequentazione
che è diventata un nutrimento, un piacere e una necessità; è nato tutto così, senza una particolare strategia,
principalmente per vedere opere in cui riconoscersi, per confrontarsi, un regalo inaspettato che ha prodotto
da subito molte conseguenze.
Quali sviluppi potrebbe avere sul piano romano e non solo, questa vostra esperienza che sta passando anche attraverso l’apertura degli studi a collezionisti, amatori, appassionati, ecc.
Gli sviluppi oggi sono imprevedibili, sarà il lavoro a indicarci la strada, per ora stiamo raccogliendo frutti
inaspettati di un lavoro fatto con il solo scopo di farlo al meglio; lo scorso anno abbiamo aperto a turno gli
studi per una serie di appuntamenti che hanno avuto un grande successo, molte persone hanno avuto modo
di visitare i luoghi vissuti dagli artisti provando il nostro stesso piacere, molti continuano a seguirci, alcuni
sono entrati a far parte del gruppo di lavoro, si sta creando una sorta di rete di relazioni e le occasioni si
moltiplicano; ora stiamo realizzando i primi interventi pubblici, ad esempio alla Rampa Prenestina il mese
scorso abbiamo lavorato fianco a fianco per 15 giorni realizzando una specie di enorme laboratorio comune
che ha prodotto una evento/installazione/concerto molto bello e intenso. Ora stiamo lavorando per la mostra
di Cagli, un confronto con un luogo e un palazzo densi di storia dove mettere ancora alla prova quello che ci
lega, dare una forma ad un’idea di innovazione fondata nella tradizione che è anche una visione di un futuro
possibile; anche le opere possono contribuire tornando ad essere quello che sono sempre state, un piacere.