Francesco Moschini e Gabriel Vaduva
Viene presentata Lunedì 14 Giugno 2005 nel Nuovo spazio espositivo dell’ A.A.M.
attiguo alla galleria già esistente, e che sarà dedicato all’Archivio del disegno
contemporaneo, un opera di grandi dimensioni corredata da una serie di studi
preparatori, nonchè da un libro di grande formato, che come un diario di bordo ha
accompagnato l’elaborazione dell’opera realizzata da Oreste Casalini per un
committente privato. L’opera di 2,50 x 3,50 (metri),riassume nella sua visione angolare,
un intreccio tra figure ed architettura, tra corpo e mente, di rara e sorprendente novità.
L’idea di presentare come “lavoro in corso”, un opera destinata a far parte di una
collezione privata, quindi prima della sua sottrazione alla fruizione pubblica è motivata
dall’occasionalità di aprire, per la prima volta al pubblico dell’Arte romano il nuovo spazio
espositivo dell’A.A.M., non un ampliamento della stessa galleria ma un allargamento ed
una diversificazione della propria attività espositiva.
L’opera presentata da Oreste Casalini, si colloca a pieno titolo nella migliore tradizione
delle avanguardie artistiche che dagli anni trenta in poi hanno sempre saputo affiancare
con esiti magistrali l’espressione architettonica con quella artistica. Essa rappresenta un
“monumentale” raggiungimento di percorsi di ricerca da tempo avviati dall’artista che, a
partire dalla propria esperienza americana, ha sempre cercato di coniugare la propria
propensione alla ricerca di una vocazione ancestrale della pittura sino ad arrivare a
caratterizzare la propria iconografia soltanto attraverso veri e propri archetipi figurativi.
Il risultato del suo percorso artistico si è sempre pertanto concentrato su ricercate
oscillazioni tra vocazione alla bidimensionalità e ricerca del tutto tondo. L’artista è andato
così sempre più configurando scenari in cui memorie oggetti e figure galleggiano in una
sorta di astratto montaggio, con una ricercata compenetrazione tra le varie “comparse”
dell’opera e con la prorompente sottolineatura di alcuni elementi che da quell’universo si
stagliano e si staccano quasi a indicare la loro distanza se non la loro lontananza dal
possibile carattere indistinto di quel microcosmo rappresentato.
Anche l’essenzialità cromatica cui l’artista ha sempre fatto ricorso è sempre tesa a
ricomprendere nella loro “totalità” quelle monadi separate in modo tale che il risultato non
sia mai quello di uno spiazzamento reciproco delle singole comparse ma piuttosto un loro
tentativo di riappaesarsi in un ricercato connubio di “armoniche dissonanze“.