Christiana del Caldas Brito
– Vorrei essere un uovo.
– Un uovo?
– Si, un inizio, un nuovo giorno.
– No, resta qui, sei solo una forma.
– Sei tu a decidere?
– Sì, decido io. Forse sarai un volto.
– E allora i tratti neri che metti dappertutto?
– Quelli non ti appartengono, non sono ancora di nessuno, sono solo ricordi in viaggio.
– Come, tutti frammentati?
– Vengono così, a pezzi, mescolati. Si può negarlo? Sono caldi e hanno il colore della terra.
– Di quale terra?
– Nessuna, quella delle origini, quella dove torneremo tutti.
– La tua Africa?
– Forse; arrivano echi, ricordi, segni indecifrabili; un sud senza nord, visi senza occhi, teste senza un
orecchio, un uomo senza braccia, una donna senza testa.
– Vuoi che io sia un volto per completare la tua donna?
– Non fare domande. Lascia scorrere forme e colori e troverai il tuo posto.
– Cosa vuoi raggiungere?
– Niente altro che un segno umano.
– E l’umano di cos’è fatto?
– Non lo so, so solo che appare incompleto e bisognoso di cura.
– C’è la presenza di quello che manca.
– Forse. Quando non manca nulla si passa alla prossima pagina.
– Perché la figura femminile?
– Sorprende la vita dall’interno.
– Ma s’intravede il lutto su quel corpo.
– E’ così. La realtà è fatta di opposti. Se esiste un’arte è perché c’è un conflitto.
– Non esiste pieno senza vuoto?
– Non esiste più senza meno, dico questo e lo nego.
– Non senti i mille suoni nascosti nel silenzio dei tuoi dipinti?
– Sì, io suono con i colori, ma non sempre la stessa melodia.
– Melodie a colori?
– Come un campo in primavera, una nevicata, un uragano,
– E il risultato?
– Un jazz pittorico, il più preciso possibile.
– In una pagina c’è scritto: “Non si finisce mai di imparare. Non si finisce mai di dimenticare”.
– Cosa vuoi dimenticare?
– Lo sapessi, non sarei un pittore.