Lucia Presilla

Come è nato questo lavoro?


E’ il risultato di diversi incontri, un percorso che nasce da un quaderno, un grande
libro di carte rilegate su cui ho lavorato negli ultimi anni. Lavoro spesso su quaderni
e raccolte di carte, sono un luogo di lavoro disponibile ovunque per riflettere e
disegnare senza filtri, sperimentare in presa diretta in situazioni molto diverse; ogni
luogo ha un suo disegno e io cerco di essere sempre pronto, queste carte
raccolgono disegni realizzati a Roma, a Napoli, a Parigi e nel sud dell’India, ma non
è un libro di viaggio, è un grande quadro da leggere sfoglìando.

Perché ha preso forma in un libro?


Un quaderno è sempre un incontro personale, uno ad uno, l’idea di realizzare un
libro nasce dalla volontà di moltiplicare questa possibilità, ho usato delle tecniche di
stampa per realizzare un lavoro nuovo, non una riproduzione ma un opera unica in
un centinaio di copie, una specie di corrispondenza, un’opera-mostra che ti viene
incontro, che vuole essere accolta in libreria. L’incontro con Emanuele Trevi ha poi
trasformato l’intenzione in un vero libro, il suo testo nasce dalle immagini ma non le
interpreta, è un vero racconto che a suo modo crea una visione parallela di questo
2006.

Hai lavorato ad altre opere di questo tipo?


Ho sempre un quaderno per disegnare, in generale lavoro sempre su serie di lavori,
anche quando si tratta di quadri, sculture, ogni progetto ha una sua necessità, a
partire dalle materie, dalle tecniche, ogni opera è figlia di scelte che generano molte
possibilità; solo una installazione diventa un’opera unica, figlia di un incontro con uno
spazio unico, un quaderno invece è uno spazio diverso, immaginario e concreto
come una cattedrale, una struttura solida capace di contenere un diluvio di momenti
diversi dando spazio a tutti, senza discriminazioni, la sequenza di pagine raccoglie
una porzione di tempo, in un determinato luogo, è un esercizio quotidiano per me
necessario, l’insieme diventa una sorta di ritratto, una immagine che è il risultato di
scelte diverse, anche di contraddizioni, resti di immagini, amnesie, un paesaggio
frammentato che a volte sento segno di una intera generazione.

Quale è il tuo rapporto con la letteratura?


Non ho un rapporto speciale con la letteratura, non c’è un legame diretto tra il lavoro
di un artista e quello di uno scrittore, sono materie molto diverse anche se si nutrono
della stessa realtà; quello che mi interessa è lo spazio che sta alla base di ogni arte,
l’intuizione ritmica che è la realtà di un’opera, è una questione di punti di vista, la mia
materia è il disegno, ma tutte le arti sono necessarie, l’importante è non fare
confusione, trovare un punto di vista che non annulli la scena; la pittura è una
visione potente che solo col tempo diventa racconto, la letteratura invece dal
racconto costruisce un’immagine altrettanto potente, c’è bisogno di equilibrio, oggi è
facile saltare da un punto all’altro senza troppe conseguenze, la tecnica ci permette
di fare cose prima impensabili ma mette anche tutto sullo stesso piano, azzera le
distanze ma non ci fa incontrare davvero, per me il disegno è sempre la base di un
lavoro.

Prediligi i contemporanei, o ti affidi ai classici?


Un classico è necessario per parlare di contemporaneo, sono divisioni che servono
al pensiero, per un autore le opere sono sempre contemporanee, anche se
provengono da un altro mondo, da un’altra lingua o da un altro tempo, l’arte aspira
sempre alla classicità, dare la forza e la dignità del classico ad immagini e materie
contemporanee è una missione possibile.

Che significato ha per te la pittura oggi?


Dipingere per me è una necessità e un privilegio, soprattutto è un modo di pensare,
di rendere cose visibili, non è solo una questione di materie colorate, si può usare
qualsiasi cosa, persino il nulla, è sempre l’opera in scena, il suo farsi, il suo voler
essere qualcos’altro, si tratta in fondo sempre di armonia, proporzione, ritmo.

Hai avuto dei maestri? Quali sono i tuoi punti di riferimento?


Roma è stata la prima maestra, per le sue strade ho sempre incontrato quello di cui
ho bisogno, è un racconto infinito, ogni angolo è sedimento, somma di
contraddizioni, ambizioni secolari, fallimenti rovinosi, restauri, distruzioni. Roma ti
abitua a non fidarti delle apparenze, a considerare anche quello che non si vede, da
ragazzo passavo giornate intere disegnando in chiese, palazzi, musei, ero
affascinato dalle scene, disegnavo i volumi, le storie che contenevano, studiavo
l’architettura, le tecniche della pittura, riproducevo le sculture, a Roma ho conosciuto
le persone più importanti, ho imparato a mischiare tecniche antiche e desideri nuovi.
C’è sempre una certa distanza tra quello che in un momento si reputa attuale e
quello che un artista sente necessario per il proprio lavoro, oggi i media impongono
punti di vista che confondono, ci sono molti artisti di talento ma pochi si fidano delle
proprie visioni.

Committenza, ovvero la “grande occasione”. Che ruolo ha o dovrebbe avere,
secondo te, la committenza ne/lavoro di un artista?


Lavoro spesso su commissione, è molto importante, quello che conta veramente in
un’opera è come nasce e come cresce, i lavori migliori sono spesso il risultato di un
incontro felice, ci sono parole e intenzioni che viaggiano tra le persone, se
incontrano il desiderio di un artista possono venire al mondo cose prima impensabili,
è un’incontro necessario, una fortuna quando accade.
Ma è anche vero che a volte le occasioni bisogna inventarle, ogni progetto è anche
una ricerca di incontri, di possibilità, spesso è necessario farsi committenti di se
stessi, ci sono lavori che vanno realizzati senz’altro, cose che si uniscono
miracolosamente e che vanno colte in un preciso momento, c’è bisogno di lavoro
costante, di un ordine che nessuno ti può dare.

Pensi che l’arte debba essere del proprio tempo?


E’ difficile dire quale sia il tempo che si vive vivendolo, oggi ci sentiamo
contemporaneamente in molti luoghi, partecipiamo di tempi diversi, non credo che
l’arte sia solo una testimonianza del momento, nelle opere c e un valore misterioso e
profetico che non riguarda solo l’attualità, realizzare un’opera è comunque una forma
di ottimismo, di proiezione in un futuro sconosciuto, un opera c’è, è una forma del
presente, quello che si può fare è dimenticarla o distruggerla, da autore penso solo
all’opera che è l’idea stessa di un’arte possibile, la pittura in questo è una buona
scuola di vita, un sapere pratico che si rinnova sempre, oggi sembra del tutto
inattuale, fuori tempo, domani ritorna al centro dell’interesse.

La bellezza è ancora un valore?


Si, ma siamo fortunati, anche la bellezza è multipla e contraddittoria come la realtà
che viviamo, abbiamo più possibilità, non si tratta più di una forma ma di un ritmo,
valutiamo le cose per la loro verità anche se non hanno niente di bello, non
chiediamo all’arte di separare il bello dal brutto o il buono dal cattivo, ma al contrario
di unire, creare legami, ponti; un opera è bella se è una rivoluzione, se appare
misteriosamente esatta e chiara come un’illuminazione, un’evidenza
immediatamente disponibile.
Ho lavorato a Roma, a New York, a Napoli, in India, luoghi dove anche l’esperienza
del quotidiano èun’opera complessa, un percorso da inventare tra tempi e linguaggi
diversi, in realtà siamo noi stessi la nostra principale opera, la bellezza è un valore
morale, è bella la volontà di bellezza, le cose fatte con cura gratuita, la disponibilità a
condividere, mentre è brutta la chiusura, il punto di vista unico, il pregiudizio.

Come e quando hai cominciato?


A Roma, alla metà degli anni ‘80, in un grande seminterrato dietro la stazione Termini
insieme ad altri giovani artisti, musicisti, scrittori, era un momento molto bello, un
confronto costante, si facevano molte mostre collettive; ho sempre avuto una buona
committenza privata che mi ha garantito una certa libertà di movimento, nel 1990 ho
lasciato Roma per New York dove ho vissuto per un paio di anni; da allora mi sento
sempre in viaggio, è un senso di non appartenenza misto a curiosità che mi spinge a
ripartire, oggi ho una casa a Napoli dove passo molto tempo, viaggio ancora molto e
ritorno sempre a Roma a dimenticare.

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